Macchina di Wimshurst

Datazione: 1883
Inventore:James Wimshurst
Dimensioni: 58×51 cm
Materiali: Stagno, alluminio e ferro

Descrizione:

Macchina elettrostatica ad induzione, progettata per ottenere energia elettrica a spese dell’energia meccanica. E’ una utile e sicura sorgente di energia elettrica per la conduzione di esperienze sull’elettricità statica (e per l’accensione dei tubi a scarica fredda): infatti sfruttando il principio dell’elettrizzazione per strofinio e per induzione, con essa è possibile raggiungere tensioni continue molto elevate. La macchina è costituita da due dischi isolanti che vengono fatti ruotare in verso opposto attorno ad un asse comune mediante un dispositivo a manovella. Essi sono ricoperti sulla faccia esterna da settori di stagno o di alluminio, che hanno la funzione di volta in volta di induttori e di trasportatori.

Funzionamento:

Due conduttori a spazzola assicurano il collegamento metallico tra i settori diametralmente opposti, e le cariche elettriche di segno opposto che vengono separate per induzione su di essi, sono convogliate verso due spinterometri a sfere, collegati a due pettini a ferro di cavallo, tra i quali, per l’accumulo di cariche, si manifestano delle piccole ma intense scariche elettriche. In parallelo agli spinterometri possono essere collegati, attraverso delle catenelle, due condensatori di grande capacità (bottiglie di Leyda). Il rendimento di questa macchina è però molto basso perchè la potenza elettrica che si ottiene è molto minore di quella assorbita.

Curiosità:

La conoscenza dell’elettricità statica risale alle prime civiltà, ma per millenni è rimasta solo un fenomeno interessante e sconcertante, senza spiegazione e spesso confuso con il magnetismo. Alla fine del XVII secolo, Otto von Guericke sviluppò una semplice macchina per generare elettricità con l’attrito, ma lo sviluppo delle macchine elettrostatiche, come quella di Wimshurst, si ebbe dal XVIII secolo, quando divennero strumenti fondamentali per lo studio della nuova scienza dell’elettricità.

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